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Gip di Palermo: distrutte le intercettazioni Napolitano-Mancino
Le registrazioni devono essere distrutte con "procedura camerale" perché hanno costituito "un vulnus costituzionalmente rilevante".

Giorgio Napolitano
PALERMO - Il gip di Palermo, Riccardo Ricciardi, ha distrutto le intercettazioni delle conversazioni telefoniche tra il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e l'ex ministro Nicola Mancino, registrate nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. La distruzione dei file audio è avvenuta, questa mattina, nel carcere Ucciardone, dove si trova il server in cui i file erano conservati. Alle operazioni ha partecipato il tecnico della Rcs, la società che gestisce gli impianti di intercettazioni per conto della Procura di Palermo.
LA QUESTIONE. La distruzione delle intercettazioni era stata disposta dopo la sentenza della Corte Costituzionale che aveva risolto in favore di Napolitano il conflitto di attribuzione sollevato dal capo dello Stato con la procura di Palermo che indaga sulla presunta trattativa Stato-mafia. Al centro della vicenda quattro telefonate tra Napolitano e l'allora ministro dell'Interno Nicola Mancino, captate indirettamente. Le conversazioni di Napolitano intercettate erano sempre definite dai pubblici ministeri "irrilevanti" ai fini del procedimento.
LE MOTIVAZIONI. La Cassazione ha scritto nelle motivazioni: le intercettazioni Napolitano e Mancino devono essere distrutte ''con procedura camerale'', senza contraddittorio tra le parti, perché le registrazioni hanno costituito un ''vulnus costituzionalmente rilevante''. Ricordando quanto sancito dalla Consulta nello scorso dicembre, che, accogliendo il conflitto sollevato dal Quirinale nei confronti della procura di Palermo, aveva disposto "l'immediata distruzione" dei file con le quattro conversazioni intercorse via telefono tra Napolitano e Mancino, i giudici della Cassazione rileva che costituisce "fondamento imprenscindibile per la risoluzione del conflitto il rango degli interessi coinvolti nel caso di intercettazione di colloqui presidenziali". I "principi tutelati dalla Costituzione - si ricorda nella sentenza - non possono essere sacrificati in nome di una astratta simmetria processuale".